Una scoperta della Johns Hopkins University apre la strada a microchip invisibili, ultra-compatti e ad alte prestazioni grazie alla litografia B-EUV e nuovi materiali metal-organici
Johns Hopkins svela il futuro dei microchip sotto i 10 nanometri.
I ricercatori della Johns Hopkins University hanno compiuto un passo epocale nella tecnologia dei microchip, svelando nuovi materiali e un processo innovativo che promette di trasformare l’elettronica moderna. Pubblicata sulla rivista Nature Chemical Engineering (1), la scoperta potrebbe accelerare la corsa verso microchip ultra-compatti, ad alte prestazioni e a basso costo, impiegati in dispositivi come smartphone, automobili, elettrodomestici e persino aeroplani.
Microchip invisibili: la nuova frontiera dell’elettronica
- Il team ha sviluppato un metodo per creare circuiti talmente piccoli da risultare invisibili a occhio nudo, utilizzando una tecnica di produzione precisa ed economicamente sostenibile.
- Questo processo sfrutta materiali metal-organici che reagiscono con fasci di luce ad alta intensità, permettendo incisioni microscopiche su wafer di silicio con una precisione mai vista prima.
- La tecnologia si basa sulla litografia B-EUV (Beyond Extreme Ultraviolet), che consente di superare i limiti dei materiali tradizionali e realizzare microchip con dettagli inferiori ai 229 nanometri.
Michael Tsapatsis (2), professore alla Johns Hopkins, ha sottolineato come le aziende abbiano già tracciato le loro roadmap per i prossimi 10-20 anni: «Uno degli ostacoli principali è trovare un processo che permetta di realizzare caratteristiche sempre più piccole, irradiando i materiali in modo rapido e con precisione assoluta, mantenendo la sostenibilità economica».
Questa scoperta potrebbe rappresentare la chiave per superare le barriere produttive e aprire la strada a una nuova generazione di dispositivi elettronici più leggeri, potenti ed efficienti.
«I laser ad alta precisione necessari per incidere circuiti su formati microscopici sono già disponibili», spiega Michael Tsapatsis, professore alla Johns Hopkins University. «Tuttavia, per realizzare microchip sempre più piccoli e potenti, servivano nuovi materiali e tecnologie di produzione capaci di adattarsi alle dimensioni in costante riduzione».
Come funziona la produzione dei microchip
- I microchip sono sottili strati di silicio su cui vengono incisi circuiti elettronici che svolgono funzioni fondamentali.
- Durante la produzione, i wafer di silicio vengono rivestiti con un materiale sensibile alle radiazioni, chiamato “resist”, che reagisce alla luce per creare disegni e circuiti.
- Un fascio di radiazione colpisce il resist, innescando una reazione chimica che incide dettagli finissimi sul wafer.
Il limite dei materiali tradizionali
I fasci di radiazione ad alta potenza, indispensabili per scolpire dettagli sempre più minuscoli, non interagiscono abbastanza efficacemente con i resist tradizionali. Questo ostacolo ha spinto i ricercatori a cercare soluzioni innovative per superare i limiti della litografia convenzionale e rendere possibile la produzione di microchip ultra-compatti.
Il team di ricercatori della Johns Hopkins University, guidato dai laboratori di Tsapatsis e Fairbrother (3), ha identificato una nuova classe di resist metal-organici in grado di resistere alla radiazione ultravioletta estrema avanzata (B-EUV). Questa tecnologia consente di incidere circuiti con dettagli inferiori ai 10 nanometri, superando gli standard attuali e aprendo la strada a microchip più piccoli, veloci ed efficienti.
Come funziona la tecnologia B-EUV
- Metalli come lo zinco assorbono la luce B-EUV e generano elettroni che innescano trasformazioni chimiche su un materiale organico chiamato imidazolo, permettendo l’incisione di circuiti con precisione nanometrica.
- Per la prima volta, gli scienziati sono riusciti a depositare questi resist su scala wafer di silicio, controllandone lo spessore con precisione estrema.
Collaborazione scientifica globale e nuova metodologia CLD
La ricerca ha coinvolto istituzioni di prestigio come:
- Johns Hopkins University (USA)
- East China University of Science and Technology (Cina)
- École Polytechnique Fédérale de Lausanne (Svizzera)
- Soochow University (Taiwan)
- Brookhaven e Lawrence Berkeley National Laboratories (USA)
Insieme, hanno sviluppato una nuova tecnica chiamata Chemical Liquid Deposition (CLD), che consente di esplorare rapidamente centinaia di combinazioni tra metalli e imidazoli, ottimizzando l’assorbimento della luce e la reattività chimica.
Zinco e oltre: il futuro della litografia avanzata
Il dottor Tsapatsis spiega: «Giocando con i due componenti (metallo e imidazolo), possiamo modificare l’efficienza di assorbimento della luce e la chimica delle reazioni successive. Ci sono almeno 10 metalli e centinaia di organici utilizzabili».
Anche se lo zinco non è ideale per la litografia EUV tradizionale, si è rivelato uno dei migliori per la B-EUV, che secondo gli esperti sarà adottata su larga scala entro i prossimi 10 anni.
Riferimenti:
(1) Spin-on deposition of amorphous zeolitic imidazolate framework films for lithography applications
(3) Fairbrother Research Group
Descrizione foto: Un wafer di silicio rivestito con un materiale sensibile alle radiazioni. - Credit: Xinpei Zhou.
Autore traduzione riassuntiva e adattamento linguistico: Edoardo Capuano / Articolo originale: Researchers discover new methods for making smaller microchips